Gli anni passano e i nipoti crescono, le cene aumentano, i viaggi pure.
Fino a che il destino colpisce ancora. Quel marito tanto amato, tanto voluto, con cui litiga rumorosamente …ecco, lui.
Cirrosi epatica, una condanna a morte nel 1978. A nulla valgono i viaggi della speranza a Milano, le cure, i ricoveri. A nulla.
Umberto si spegne e con lui, la bella Anna.
Finite le feste, finite le cene, finiti i viaggi, finite le vacanze nella villa.
Si chiude in casa, è lo spettro di quella che era.
Uno spettro enorme, ingombrante,con vestiti fatti apposta per la sua mole.
Un’altra vita, non certo migliore della prima. Una vita che pare l’antitesi della prima, fatta di gioia, vitalitá, famiglia.
Vive nel grattacielo, non esce quasi più.
Del suo angolo preferito in cucina, sulla sua sedia comoda, con tanti cuscini, e coperte fatte a mano, una sigaretta dopo l’altra, ancora regge il suo impero.
Alza la cornetta e domanda, gestisce, esige, pianifica. Come prima, ma il piglio è diventato amaro, acido, piagnucoloso.
Nessuno guarda più col naso in su al grattacielo. É lei che ora si siede fuori in terrazza e guarda in giù , quasi a spiare quella vita che continua senza di lei.
La torre di controllo, lo chiamano ora il grattacielo. Un controllo fatto di rimostranze amare, acide, piagnucolose.
Di rimpianti, rimpianti per quella vita con lui, rimpianti per l’assenza di figli, rimpianti per le decisioni prese. Rimpianti per le aspettative disattese, per le promesse mancate.
Rimpianti mescolati al solito piglio volitivo, e ai soliti scoppi di temperamento. Una valle di lacrime e accuse pungenti, feroci. Eh, un mix esplosivo.
Quasi nessuno resiste a questo tsunami incontrollato che può scoppiare da un momento all’altro. Quasi nessuno ce la fa a sopportare questo muro di dolore, di occasioni vissute e perdute, di inconsolabile tragedia.
Specie quelli che hanno vissuto in pieno la prima vita, ne hanno goduto il bene, l’amore, l’allegria. Quelli col posto speciale, quelli sotto al grattacielo.
Ci provano tutti, eh, ci provano. Lo tsunami distrugge a tradimento, colpisce quando meno te l’ aspetti, incapace di farsi amare, di amare.
Affossa i vissuti di quasi tutti, ustioni di gradi infiniti in un delirio di pretese, recriminazioni e ricordi felici.
Salire al sesto piano vuol dire metterci sale su queste ferite, ancora una volta, bisogna pensarci bene prima.
Quello maciullato è soprattutto lui, Angiujicch, il cuore della zia. Ma non molla.
Non molla, non mollerà mai questa madre non madre, zia non zia, madre matrigna, amica, conforto, erinni,implacabile testimone dei suoi successi e dei suoi fallimenti.
Salirà al sesto piano ogni volta, non sapendo mai come finirà, chi ne darà di più di colpi, chi ne riceverà di più. Fino alla fine, amore, odio, tanto, tanto amore. Un grande amore il loro, tormentato,fino alla fine.
Al sesto piano, negli ultimi anni, ci sale lui, la famiglia adottiva ,anche loro, guarda il destino, abitanti delle casine sotto il grattacielo (no,non è un caso…i miracoli possono accadere anche seduti su una sedia in un appartamento del sesto piano con una cornetta del telefono in mano) e altre due figure.
Mia madre, sorella molto più giovane, resistente per età, vissuto e carattere alle vampate di fuoco, dotata di una resilienza infinita e una profonda comprensione dei drammi dell’essere umano.
E io. Io, una degli ultimi suoi nipoti, lontana anni luce dalla sua vita precedente.
Entro nella sua vita in questo stadio.
Una signora con una vestaglietta modellata sul corpo imponente, la sigaretta all’angolo delle labbra, la poltrona in cucina vicino al temosifone, e gli scialli fatti all’uncinetto, la casa enorme, vuota.
La amo, la amo tanto questa zia bislacca, incendiaria, piagnucolona, drammatica,triste.
Lei ricambia il mio affetto, mi dispensa, nel tono infiammato, burbero e sbrigativo che la contraddistingue, pillole di saggezza di una modernità strabiliante.
L’importanza come donna , di avere una indipendenza economica, di essere padrona del proprio destino.
L’importanza di viaggiare e conoscere il mondo, di avere dei figli, e chissenefrega di essere sposati, i figli, quelli, sono l’unica cosa per cui vale la pena di vivere.
Quando l’umore , le telefonate, l’andamento della giornata consente, mi apre i suoi scrigni e il suo cuore.
E comincia a raccontare delle feste, dei viaggi, dei gioielli, dei cenoni, del compito di Dora, di quell’uomo distinto sotto il balcone, della fuga a Minervino, dell’ospedale a Milano.
Racconta, tra una sigaretta e l’altra, un pianto e l’altro, una invettiva e l’altra,
Si abbandona sullo schienale della poltrona, chiude gli occhi , e il viso si illumina, ed è in quell’ altro mondo, in quell’altra vita.
L’incanto si spezza col trillo del telefono, solitamente, si incurva ed è di nuovo in questa vita.
Un giorno, complice l’invito a cena col fidanzato di turno ( “Facci, un figlio, chissenefrega del matrimonio, facci un figlio, ti aiuterò io a mantenerlo“), avviene un miracolo.
Apre la porta, vestita di nero, con un giacchino di pajettes, pettinata, truccata. Le dita pieni di anelli, al polso un orologio di argento.
Ci fa accomodare nell’ampio salone, una tavola apparecchiata con tovaglie di Fiandra e posate d’argento, imbandita con portate su portate.
Si accomoda, conversa amabilmente di attualità,coinvolge l’ospite con domande interessate sul suo lavoro, mesce vino e serve piatti senza battere un colpo, leggera come una piuma.
Appena finito di servire il caffè, tira fuori dalla madia degli album di fotografie e comincia a raccontare.
Questa volta non come al solito tra una sigaretta e l’altra, un pianto e l’altro, una invettiva e l’altra,
Questa volta il busto è eretto, la risata affascinante e di gola, il piglio orgoglioso.
Racconta della sua vita bellissima, dei suoi viaggi, delle sue avventure, dalle labbra escono boccate voluttuose di fumo.
Racconta con dovizia di particolari, mostrandoci foto, foto di fiordi, foto di famiglie, foto di amori, foto di sorrisi.
Trangugio avida le sue parole, le foto che ci mostra, la sua demise affascinante, lo sguardo ammirato del fidanzato di turno.
Trangugio tutto avidamente, guardo una foto, alzo gli occhi : è la stessa persona, questa di fronte a noi.
È, per sempre, la bella Anna.
Til we meet again. Con amore. ♥