Il caso ha voluto che andassi a vedere il Rigoletto all’ Opera di Amsterdam, praticamente dietro casa mia 🙂
Quello che segue è la mia esperienza e le mie considerazioni. Se siete dei tradizionalisti, amanti di Wanda Osiris in ogni opera,e nostalgici del si stava meglio quando si stava peggio, cioè quando i cantanti erano delle colonne di suono e basta…questo post non è per voi 🙂
Prima di tutto la musica: una direzione stellare, un coro fantastico, pieno di colori e con una dizione perfetta (e signori miei, il direttore del coro è una cinese, scandalo dei benpensanti :-)). Il cast ottimo dal più piccolo al più grande, voci belle, giuste, corrette, appassionate. Un cast affiatato, ben diretto. e soprattutto, capace di recitare. CAPACE DI RECITARE.
E dove sta la cosa straordinaria, mi direte voi? L’ opera è teatro in musica, ergo chi fa opera dovrebbe essere cantante e attore in egual misura. Beh…non è così semplice…ma andiamo avanti.
Cantanti, dicevo,capaci di recitare, muoversi, cantare sdraiati, di lato,a testa in giù. Tutto al servizio del personaggio, che non è solo acuti e testosterone (sentitevi un disco, allora), ma ha anche parole e caratteristiche drammaturgiche da creare in scena. Assistendo a questa produzione, mi sembra veramente leggenda metropolitana la favola che muoversi in scena per esigenze di regia spoggia la voce. Patetica scusa per chi o non può o non vuole essere un cantante d’ opera a tutto tondo.
L’opera è teatro in musica, drammaturgia in musica, e se non ci convinciamo di questo, addetti ai lavori, e pubblico abituato alla solita minestra riscaldata di acuti-notefilate-cadenze-vocali-violentate-per-arrivare-al-do, ben ci sta che l’opera stia declinando proprio nel paese che le ha dato i Natali.
Cantati ,dicevo,capaci di cantare in maniera eccelsa, anche seminudi, senza pudore, senza vergogna, in movimento, parte integrante col loro canto dell’idea drammaturgica. Cantanti che cantano totalmente immersi nella regia.
E qui si apre un capitolo a me tanto caro. LA REGIA.
Ho la netta impressione che il team registico/musicale si sia seduto a tavolino con una bella tazza di caffè, abbia ascoltato la musica, abbia letto il libretto esaustivamente (che già da se quella è una impresa, che ,signora mia, Peppino nostro sarà il re della melodia, ma alcune volte i testi make no sense at all) e si sia chiesto:
“Cosa vogliamo dire al pubblico, a parte far vedere loro che i cantanti san cantare?”
Questo Rigoletto è incentrato non tanto sul suo mestiere di buffone di corte, ma sul suo essere padre : padre protettivo che ha cresciuto sua figlia da solo, separandola nettamente dal suo triste destino di essere deforme giullare di corte, e che, a causa della tragica fine della fanciulla,(in parte avvenuta per le azioni del padre), è impazzito dal dolore.
Di conseguenza l`opera ha un’unica scena, la stanza di un manicomio con una grande finestra, dove Rigoletto vive le sue notti con i suoi fantasmi. Ci sta, tutto, questo taglio. I flashback sono fortissimi, vividi, luci di taglio e freddissime, anonimi cortigiani mascherati, fantasmi vestiti di bianco, un letto di ferro e muri che ingoiano o vomitano personaggi nel delirio del protagonista.
Alle spalle ,grandioso, commovente e spaventoso allo stesso tempo lo splendido lavoro di videomapping dove vediamo Gilda da piccola, l’amore di suo padre per questa piccola bimba con le trecce, la sua “prigionia” di vittima degli eventi espressa in una finestra con sbarre che non si apre mai (si aprirà solo alla fine, quando, finalmente liberata dalla morte,la bimba correrà felice nei campi) .
In scena a sottolineare questa condizione, una marionetta, l’ unica compagna del presente , con cui parlare, e da stringere al cuore cullandola.
“Cortigiani vil razza dannata” viene cantata magistralmente mentre tutt’ intorno scorrono disegni da bimba, che man man che la musica finisce si anneriscono cancellandosi. Il contrasto tra la musica drammatica, violenta per certi versi, e i disegni di bambina, papà- io-mammanonc’è- casa- famiglia, ha un impatto di pugno allo stomaco che si scioglie in pianto.
Rigoletto padre disperato ha in mano quei disegni, mentre i cortigiani,bianchi,spettrali, con una faccia sola, una maschera da carnevale, affollano i suoi incubi. Ha in mano quei disegni mentre li prega di liberarla, perchè Gilda è tutto ciò che lui ha. Troppo tardi. L’ aria finisce, i disegni sono cancellati, tutto è oscuro e Rigoletto is back to reality , un’altra notte , un altro incubo. La marionetta e’ cio’ che gli rimane, mentre il resto e’ delirio del dolore, lenito solo alla fine da un elettro shock. Scena Terribile, violenta, straziante,appassionata,emozionata.
Opera, quindi.
Una idea registica ben precisa,dicevo, fedelissima alla natura dei suoi personaggi e del libretto, che va alla radice di questo dramma. Damiano Michieletto, nome che per i tradizionalisti evoca mazzi d`aglio ed esorcismi, ha fatto di questo Rigoletto un’ opera d’arte nell’ opera d’arte. Gli ingredienti tradizionali ci sono tutti: i coriandoli della festa dei cortigiani, la scena della seduzione, Maddalena discinta,il sacco dove c’è il corpo di Gilda, la gobba…tutto business as usual se vogliamo, ma con un approfondimento drammaturgico che va dritto al cuore del personaggio e del pubblico.
(Il quale tributa un`ovazione alla fine, con tanto di 5 chiamate in scena del cast, che da queste parti è tantissimo. 10 recite, si prevede il tutto esaurito come nelle prime 4. Tanto pubblico giovane, che a domanda, confessa di non aver nemmeno bisogno di seguire i sottotitoli, perchè il dramma li ha coinvolti e commossi, senza aver bisogno di capire parola per parola)
Io ero lì e non riuscivo a prendere fiato.
Mi sono commossa piu’ di una volta, per la musica eseguita benissimo su una regia intensa, essenziale, straordinaria. Ho vissuto la produzione da performer teatrale, ho ascoltato la musica e il canto da musicista e cantante.
Ma, più di tutto, mi sono immedesimata, da semplice madre, nello smisurato amore con cui si amano i nostri figli, lo sforzo che si fa nel crescerli nel miglior dei modi,proteggendoli dai nostri fallimenti e dalle nostre idiosincrasie, e il dolore immenso che sfocia in pazzia quando la tragedia colpisce e ciò che ti resta sono ricordi e disegni di bimbi.
Questa la forza dell’ Opera.
Sono stata orgogliosa della parte “italiana” (prominente) di questa produzione. Orgogliosa di una forma d’ arte italiana, l’ opera, che sono 400 anni, ancora commuove, emoziona, fa pensare. L’ immortale musica di Giuseppe Verdi , la pulsione drammatica, la melodia semplice che arriva al cuore, come dovrebbe essere e sempre sarà.
Ma sono stata anche felice di vivere in un paese con vedute aperte e curiosità verso l’ arte che innova, che rappresenta in chiave moderna, un paese aperto a vedere, ascoltare, pensare e lasciarsi emozionare. Alcune volte con successo, come stasera, altre no, ma l’ importante è metterci il cuore.
Forse l’opera è morente solo al di qua delle Alpi, uccisa dalla staticità, la soffocante ortodossia e un certo modus agendi dei addetti ai lavori e del pubblico nostrano. Da queste parti è vivissima e gode di ottima salute. Bravi tutti e su tutti, grazie , come sempre, Peppino.